RECENSIONI su Aimée
Vladimir Cicognani
La sintesi e la creazione sono le caratteristiche abbaglianti della produzione di Aimée. Sintesi culturale di un passato caldo e animato dalla poesia dell’artista che impasta di umano sentire la conoscenza e crea senza sosta. Idee acrobatiche si tuffano nella tela, saltando il tempo esplorano spazi ancestrali che infiniti e perfetti scavalcano millenni e inondano di luce morbida un futuro inverosimile. Perché lontanissimo, dentro e fuori di se, si spinge l’artista a cercare furiosamente il bivio, l’istante in cui l’uomo ha violato se stesso dividendo la propria essenza molteplice, rinchiudendo in contenitori insignificanti gli elementi resi inerti dall’isolamento.
E’ un grido vitale, quello che Aimée regala ad una umanità sonnambula che le squarta il petto per inconsapevole crudeltà. Ricorrente la sofferenza dell’estraneità da una realtà interpretata in cui l’umanità si dissolve nei ruoli, e, nella rappresentazione affannata, costruisce simulacri di libertà. Perversa finzione nella finzione. Realtà che l’artista compiange in un muto, languido, continuo grido di pericolo che non contempla il disprezzo.
Inascoltato ma inarrestabile il viaggio a ritroso nella luce primitiva, si concede pause in una dimora parallela viva e magica, contrafforte per la sopravvivenza che anticipa il colore della meta. Attraverso la pittura Aimée fa dono di questo mondo immaginato e vero ed in questa forma differita di condivisione trova sollievo e felicità. E’ un dialogo a cui partecipano gli artisti del passato che più hanno inciso l’animo della pittrice, una vera realtà pulsante dove ogni parte è illimitata e si compenetra nell’altra. Uno spazio allegro e chiassoso, malinconico e rilassato che non si ferma nel tempo, incoerente nel dettaglio ma sempre fedele all‘idea, immobile ma in continua evoluzione. Anche la tecnica precisa è a volte disordinata, ad accompagnare l’emozione.
Aimée affida all’arte la custodia della verità, il riscatto dell’UOMO. Il suo è il canto di un’alba primigenia che rivela i colori della vita. Libera il piacere dai binari della “trasgressione” (termine detestato dall’artista). Libera la felicità dal limite del “dover essere”. Libera sensualità e spiritualità, dissennatamente separate, e celebra la primordiale mescolanza di sangue e contemplazione.
Vittorio Riguzzi
E' facile per un critico, e fin troppo, ricondurre un'opera o lo stile di un
artista a modelli "di ispirazione" che in gran numero abitano il
passato avanguardista, presumere che un Matisse o un Mirò possano aver
influenzato la creatività di chi si cimenta nel parlare di sé e di come fa
rivivere le immagini del mondo nella propria interiorità. Ma è un'operazione
banale, a corto di argomenti e forse per questo così frequente: un secolo e più
di arte contemporanea si è integrato nella nostra cultura visiva e ha
sedimentato nelle coscienze di ciascuno di noi, lasciando tracce, segni,
sintagmi che riemergono al pari di qualunque altra esperienza intellettiva ed
emotiva. Non è attraverso le analogie o i paragoni che si rintraccia il filo
conduttore di un pensiero, di quel farsi della visione che nella mente precede
il gesto e la composizione d'arte. E' ancor più affrettato il non concedere ad
un artista il potere degli universali: le forme essenziali grazie a cui si è
edificato un diverso scenario dell'interiorità, fondamento di tutta l'arte
nuova e dei suoi codici, la sua sintassi sciolta ma precisa, pertanto
ricorrente. L'originalità oggi è nella combinazione di suggestioni libere da
cui emerge la poetica personale, non nella ricerca di una cifra assoluta che
marchi a fuoco la propria identità. Aimée in ciò mostra la sua umiltà feconda e
insieme una sofisticata spontaneità, libera da condizionamenti di mercato e da
logiche della distinzione forzata. Proprio così facendo si abbandona ai suoi vissuti,
alle sue fantasie il cui movente irrintracciabile lascia spazio al possibile,
aperto alla significazione e alle emozioni di chi osserva le sue opere. Quasi
non le definirei pitture ma canti, danze di colori e melodie calligrafe che
intessono tra loro sentimenti sparsi, soavi per la dolcezza delle forme,
intensi per la varietà dei componenti. Tra questi sono citazioni surreali di
presenze quasi sempre al femminile, intagli dove la scrittura si fa spazio per
dire qualcosa non di qualcuno ma di sé, come appartenesse ad una esperienza
primigenia e a sua volta approppriabile da chiunque. Un universo sconvolto e
allegro, impulsivo e razionale si dichiara attrverso il collage di stoffe
immaginarie, silhouettes, elementi naturali come l'acqua o il calore del sole,
o la scacchiera emblema del giudizio che insieme animano un concerto di
coerenze e contraddizioni, quale sembra essere la realtà in se stessa. Tutto
qui accade prima del senso compiuto che noi attribuiamo alle cose per ordine
della ragione. Chiedere poi che la scrittura intervenga imponendo un discorso
che non forza ma accompagna, che non corrompe il governo delle immagini ma lo
esalta, significa condurre un gioco delicato dove le parole e le forme
descrivono, di comune accordo. Raccontano storie di donne la cui trama è il
mistero e il ricordo, il rimpianto e la forza, la nostalgia e la speranza. E
l'esilio, non in solitudine, ma in mezzo agli altri: la solitudine più grande.
La prigionia dell'indifferenza, la sensualità quasi erotica, l'innocenza di una
bambola, il vortice delle parole che si avvolgono graficamente in frasi
concentriche sono la partitura su cui Aimée scrive le proprie melodie, ora
dolenti ora solari, tenui e poi ipercromatiche: tutte le sfumature della
femminilità madre, donna, bambina e puro sentimento - prigioniero della mente e
in cerca di liberazione.
Aimée ricorda piuttosto Michel Ocelot, regista e disegnatore francese d'animazione,
col quale vedo affinità elettive dacché entrambi si affrancano dagli espedienti
delle mode d'arte per richiamare la semplicità del linguaggio visivo e
visionario, più legato alla tradizione narrativa che ai gergalismi iconici
soggetti agli interessi del box-office o dei mercanti d'opere. Entrambi parlano
all'animo infantile perchè ancora sa sognare: usano la forma del primitivismo
nelle figure che prevede l'assenza di tridimensionalità, cosicché i vestiti e
le sagome umane sono a tinta perfettamente omogenea, per lasciare
all'osservatore d'immaginare l'intimità delle loro creature.
Alberto Gross
Ruotare le prospettive, confondere i piani, mutare continuamente l'oggetto dell'osservazione: la pittura riesce incisiva e sfuggente nel medesimo tempo, capace di stordire i sensi amplificandone la percezione.
E' una inclinazione al disturbante a muovere le figure di Aimée, una speciale prassi stilistica che non pare divenire dogma, ma necessità e via di fuga dal tormento.
La volontà agisce sulla volontà stessa producendo immagini che sfidano l'istinto, obbligano al rifiuto ed invitano alla riflessione naturale sull'interiorità primitiva dell'individuo.
C'è una progressiva semplificazione e rastremazione dell'immagine, entro la quale le figure si riducono a silouhettes stilizzate, quasi ritagli di manichini non identificabili, privi d'espressione e derubati di personalità.
Tuttavia è proprio qui che affiora il fascino e si manifesta la malia seduttiva dell'arte di Aimée: nell'istante in cui la figura smarrisce ogni connotazione - sia fisica che psicologica - diviene simbolo dell'azione, della forza e della passione terrene e metafisiche, quasi lacerto e refernte ultimo dell'umanità.
Paradossalmente i movimenti innaturali guidati dalla nettezza dello stile, i corpi irreali e "descritti" sul dipinto sottolineano con ancora più forza la loro estrema vitalità, riunendo le sofferenze e i sentimenti sotterranei non dell'individuo, ma dell'uomo.
Il dipinto si mostra allora come sineddoche visiva, capace di condurre istanze che nascono dalla natura e si manifestano in una dimensione onnicomprensiva: l'apparenza dell'umano viene raggiunta ed oltrepassata nella visualizzazione della realtà istintiva.
Lo slancio diviene allora radicale, la successione di maschere ed il moltiplicarsi dell'azione conducono all'antitesi ed elevano all'allucinazione: il dionisiaco che muove all'intorno e dentro di noi trasporta e seduce, fino ad assorbirci nel gorgo, nell'istante in cui ci distacca da tutto.
Alfredo De Paz
Fantasmi, sogni, progetti, geometrie, forme singolari fitomorfe e antropomorfe che si presentano all'insegna di un'eclettismo originale fecondato dall'arte delle avanguardie e dall'immaginazione personale.Questi sono i principali fondamenti della pittura di Aimée la quale percorre sentieri al contempo difficili e affascinanti. Difficili in quanto sovente l'enigma e il mistero distanziano il suo messaggio dalla comprensione di chi chi guarda, soprattutto per l'assenza (voluta da parte dell'artista) di un'attribuzione esplicita di significati alle proprie creazioni. Ma affascinanti perchè le sue opere auspicano di far emergere un universo di immagini sensibilmente differente, una sorta di privato "antidestino" che se a volte fa ostacolo alla visione, nella complessa dialettica tra esterno ed interno, è per meglio catturare le intermittenze molteplici dell'invisibile.
Silvia Arfelli
Irreale, irridente e ricca di simbologie: così appare la pittura di Aimée, al secolo Luana Rondelli, artista che non disdegna la rappresentazione di un mondo paradossale e ricco di richiami figurali a culture scomparse e a mitologie epiche e stranianti. Lo raccontano i suoi dipinti, nei quali ci si addentra come all'interno di stanze del mistero, in cui volano streghe e troneggiano teschi, a rappresentare il pericolo soprattutto per le figure femminili, nude e prede, vittime predestinate il cui destino è sottolineato dai tanti segnali di pericolo che questo mondo parallelo, non poi tanto diverso da quello reale, presenta in abbondanza. Le città, gli sfondi di fantasia, i meandri colorati, sono il segno di un'attenzione tutto sommato giocosa sulla realtà senza disdegnarne però il suo lato più drammatico e quotidiano.
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Copyright © 2015 by Aimée - Luana Rondelli pittrice - Budrio - Bologna
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