APPUNTI di CRISTIANO FANUCCI per IL GIORNALINO DELLE DONNE




C'ERA UNA VOLTA... (Racconto di Cristiano Fanucci)

Come cambiano le cose... Di solito si pensa che oggi tutto vada meglio di ieri, c'è il progresso, i computer, tutti hanno l'automobile, la povertà e la fame saranno presto sconfitte, viva il progresso!
CAMION NETTEZZA URBANA A ROMA Ma io comincio ad avere dei dubbi, a Roma ai miei tempi non c'era tanta immondizia nelle strade come oggi, sarà stata la povertà, ma per strada non c'erano nemmeno le cicche, io stesso ho visto a Piazza Venezia al capolinea del 91 i vecchietti che raccattavano le cicche, buttate per terra da chi saliva in autobus, per farsene una nuova sigaretta, e invece sotto casa passavano quasi tutti i giorni gli stracciaroli, nessuno avrebbe buttato via nemmeno uno straccio fuori da un cassonetto...
Anche perché i cassonetti ai miei tempi non esistevano... e quindi nessuno avrebbe potuto gettare buste di plastica fuori del cassonetto, sia perché la plastica ancora non esisteva, sia perché gli spazzini venivano a ritirare la spazzatura, salendo fino al quinto piano per svuotare il nostro secchio della spazzatura nel loro sacco, che poi scendevano e scaricavano in un vecchio camion, un DODGE residuato bellico, che l'avrebbe portata alla discarica della nettezza urbana.
Naturalmente ai miei tempi non c'era tanta spazzatura come oggi, non si usavano tanti imballaggi eleganti ma inutili, anzi quasi tutto veniva venduto sfuso, dalla pasta allo zucchero, e anche le bottiglie dovevano essere rese (vuoto a rendere) inoltre i vestiti non si gettavano via, sia perché i vestitini e le scarpine dei bimbi dopo pochi anni venivano passati a un fratellino che nel frattempo era cresciuto, sia perché passavano spesso gli stracciaroli che acquistavano tutto, dagli stracci alla lana e al ferro vecchio e in campagna, a Campitello, acquistavano anche le pelli dei conigli e le piume delle oche, e magari in cambio davano qualche piatto o un giocattolo o un fischietto.

SCUOLA CESARE BATTISTI A ROMA Quando ero piccolo, a Roma, abitavo alla Garbatella e andavo a piedi a scuola, la mia scuola era la "Cesare Battisti", resa celebre dalla fiction dei "Cesaroni", era vicina a casa nostra, ma nemmeno una volta la mamma mi ha mai detto: "Cristianino stai attento ad attraversare, attento alle macchine..." Perché ai miei tempi nemmeno a Roma c'erano le macchine!
E se nei film con Totò e Fabrizi ne vedete qualcuna, sicuramente era una comparsa, non un'auto vera di passaggio, perché di auto allora ne passavano davvero poche... Infatti sotto casa nostra e nelle vie adiacenti non ce n'era parcheggiata nemmeno una... e l'unica auto che conoscevo bene era la giardinetta del mio maestro, che veniva tutti i giorni da Frascati dove abitava, e già che c'era, come secondo lavoro si arrabattava portando a Roma qualche damigiana di vino buono da vendere ad amici e conoscenti.
Un'altra auto che conoscevo bene era una Lancia Appia nera che arrivava tutti i giorni e parcheggiava verso le due in via Macinghi Strozzi ed era guidata da un autista del Ministero in divisa, e anche se era nera, era un'auto blu di quell'epoca, l'auto di qualche deputato o senatore.
PALAZZONI DEI SENATORI IN VIALE CRISTOFORO COLOMBO
E a proposito di deputati, in via Cristoforo Colombo a un paio di Km. da casa nostra cominciarono a costruire due enormi palazzoni, tutti uguali e bruttini, erano i palazzi di una' cooperativa di deputati e di senatori, erano in una brutta posizione, alla periferia di Roma, vicino a Tormarancia, e oggi sono sottoposti a tutto il traffico e ai rumori dello stradone a 6 corsie che porta all'EUR e al mare di Ostia; in questi ultimi anni gli alloggi sono stati quasi tutti venduti e abbandonati dagli Onorevoli proprietari e sicuramente gli Onorevoli di oggi non andrebbero mai ad abitare in anonimi condomini di periferia, con tante ville sull'Appia Antica molto più consone alle loro esigenze e ai loro lauti stipendi...


Davanti alla mia scuola c'erano due vecchiette che con la loro bancarella vendevano a noi ragazzini caramelle e liquirizie, lacci, pescetti (che costavano una lira), e caccolette (che costavano mezza lira) e anche bustine di castagnaccio da due lire. La prima volta che ne comprai una, non sapevo bene cosa fosse, vedevo i miei amici comprarne qualcuna, e così anche io per curiosità ne comprai una e l'aprii e me la versai in bocca, ma respirando aspirai un po' di polvere di castagne nei polmoni e cominciai a tossire come un dannato, per poco rigettavo... Io non ne ho più comprate, lasciate perdere la farina di castagne in bustine, meglio usarla per farci il castagnaccio, un vero dolce rustico con uvetta e pinoli. Se volete la ricetta completa, la troverete sul mio sito di cucina: www.ilmiositoweb.it/cucinaregionale.
SUPERCREMA E NUTELLA FERRERO Quella volta per andare a scuola non esistevano ancora le merendine incellofanate, la mattina passavamo dal fornaio e ci facevamo dare una ciriola farcita di mortadella profumata, era una merendina più rustica ma forse più sana e nutriente di quelle di oggi.
Ma per il pomeriggio? per molti anni la scelta era solo tra pane olio e sale o tra pane acqua e zucchero... Poi la Ferrero, ditta allora nota per fare succedanei, inventò la Supercrema al cioccolato, quella che poi sfondò con il nome di Nutella, era buonissima... E allora la mamma ne comprò una pentola di alluminio piena, era una confezione speciale per i negozi, (che poi come al solito la vendevano sfusa incartata nella solita carta oleata) e noi ne consumavamo a bizzeffe, ma d'estate a Campitello, facevamo a cambio di merende con i nostri amici che invece mangiavano sempre pane e prosciutto o pane e formaggio fatti in casa!

INSEGNA MOTTA A PIAZZA NAVIGATORI E a proposito di dolci, ai miei tempi per Natale non si mangiava il panettone, anzi io non avevo mai visto un panettone, nemmeno nella pasticceria che avevamo sotto casa. Nessuno a Roma aveva mai sentito nemmeno parlare di panettoni, un dolce conosciuto da anni, ma solo in Lombardia, e forse solo nel Milanese. E infatti la Motta cominciò a pubblicizzarli proprio in quegli anni, costruendo un'insegna enorme alta forse una decina di metri sopra i palazzoni di Piazza dei Navigatori, visibile quasi da tutta Roma, specialmente di notte quando era illuminata da potenti luci al neon. Insegna che vedevamo bene anche noi da casa nostra, e ci domandavamo cosa fosse, e così per soddisfare la nostra curiosità la mamma, quando avevo una decina d'anni, ci comprò un panettone, sì era buono, ma noi continuammo sempre a chiederle di farci per Natale la pastasciutta dolce all'Alkermes con il miele e le noci e il cioccolato, il dolce tradizionale che si fa in Umbria anche oggi proprio nel periodo Natalizio.


CODA ALLA VACCINARA PIATTO ROMANESCO Certo che i piatti tradizionali umbri sono diversi da quelli romani, ma sono altrettanto buoni... Quindi se a Roma gli appassionati di cucina romanesca possono gustare i rigatoni con la Pajata, a Perugia nelle occasioni importanti si offrono le pappardelle col sugo dell'oca... Se a Roma nelle trattorie si trova la coda alla vaccinara, in Umbria è famosa la coratella d'agnello, che oggi va di moda anche come raffinato antipastino nei pranzi da sposa. Comunque non è questo il momento per fare gare di cucina regionale, chi cerca ricette di cucina regionale, ne può trovare tantissime nel mio sito di cucina regionale, ma ciascuno di noi ha i suoi ricordi dell'infanzia, e tra questi ricordi spesso hanno il sopravvento i profumi e i sapori dei piatti preparati dalla nostra mamma.
Però nei miei ricordi d'infanzia si affacciano spesso i ricordi delle nostre ferie a Campitello, quel paesino di montagna, in Comunedi Scheggia e Pascelupo, dove era nato mio padre e dove avevamo una casetta nella frazioncina chiamata "Case Alte".


ANATRA IN PORCHETTA A Campitello tutto era diverso, dal pane fatto in casa dalla zia Lucia, agli arrosti fatti nel forno della Cattarina... E allora io ricordo ancora con nostalgia il profumo dei maccheroni fatti in casa con il sugo dell'oca e il sapore intenso dello spezzatino di pecora al sugo, e quello dell'anatra in porchetta con il profumo del finocchio selvatico, o quello del pollo in fricò o dell'oca arrosto, piatti rustici ma sostanziosi e saporiti che si mangiavano a Campitello nel giorno della battitura, sdraiati sull'aia, all'ombra di un noce, con bianche tovaglie lunghissime stese sull'erba, pranzando insieme a tutti i battitori, ai contadini e ai macchinisti della macchina da battere, con un bel fiasco di vino roscioletto di Gubbio, quello asprigno che oggi non si trova più... e il profumo del grano appena battuto e della pula e della paglia ancora da radunare... Ma forse è solo nostalgia della nostra giovinezza... perché tutti i miei amici sono convinti che le pietanze di una volta erano davvero più saporite e buone e profumate...


Trebbiatura a Campitello La trebbiatura del grano a Campitello era veramente una festa. Per tutti i contadini la battitura era il frutto di un'intera annata di lavoro: arare, sarchiare, seminare, mietere, radunare il grano e infine in agosto trebbiare, erano queste le fatiche di tutti i Campitellesi nell’arco di un' intera annata.
E la soddisfazione era dipinta sul volto di tutti i nostri parenti il giorno della battitura, e quindi una bella mangiata e una bevuta con tutti gli amici che erano "venuti a opra" e cioè avevano aiutato a battere il grano sull'aia, era obbligatoria per coronare la festa.
E poi alla fine della festa tutti si congratulavano con le donne di casa che avevano dato il meglio di se stesse in cucina per fare bella figura con i loro mariti e con tutti i battitori, ma le massaie di Campitello non cucinavano solo nei giorni di festa, cucinavano tutti i giorni cominciando la mattina presto, accendendo il fuoco nel camino per poi preparare la colazione, che non consisteva come da noi in città in un semplice caffè-latte con biscotti, di solito i loro mariti erano abituati fin da piccoli a colazioni ben più consistenti come l'acqua cotta, una zuppa preparata con un battutino di prosciutto ed erbe dell'orto e fette di pane fatto in casa. Perché a Campitello tutte le famiglie facevano il pane una volta alla settimana nel forno della Cattarina.

Oggi che il CoronaVirus ha costretto tutti a casa, in molti hanno cominciato ad apprezzare la cucina casalinga, quella delle massaie di una volta, ed è successo che all'inizio nei supermercati era finito il lievito di birra e anche la farina cominciava a scarseggiare perché in molti avevano cominciato a fare dolci e anche a fare il pane fatto in casa.
Ma fare il pane in casa sembra facile... del resto lo sapevano fare anche gli antichi.... ma non è vero, fare del pane buono è difficilissimo!
I miei vicini di casa a Bologna avevano comprato una macchina per fare il pane, e poi tutti felici e orgogliosi, ci avevano offerto una pagnottona fatta da loro... ma non siamo nemmeno riusciti a finirla, prima era gommosa e dopo poche ore era già diventata un mattone!..

FILE DI PANE PORTATE AL FORNO DELLA Cattarina Il pane fatto in casa da mia zia Lucia 70 anni fa era tutto un'altra cosa!
A campitello proprio davanti alla nostra casa c'era il forno della Cattarina.
Ogni giorno una delle sei famiglie che abitavano alle Case Alte veniva al forno per cuocere il pane.
E quindi ogni giorno, verso le nove, arrivava una donna con in testa una lunga tavola dove erano allineate le pagnotte da cuocere, ricoperte da un telo bianco; ogni famiglia sapeva già quante file di pane erano necessarie per tutta la settimana, di solito si andava da un minimo di 7 a un massimo di 14 per le famiglie più numerose.
Il lunedì veniva la Viola con in testa una tavola piena di file di pane da cuocere, lei aveva il marito e 6 figli e quindi il pane da cuocere era tanto, tanto, tanto.
Il martedì faceva il pane la Cattarina solo per lei, il marito Checcarino e il figlio Angelo.
Il mercoledì faceva il pane mia zia Lucia e anche lei aveva il marito e quattro figli e poi ce ne dava un po' anche a noi...
Poi il giovedì veniva La Rosa, lei aveva il marito e tre figli e anche la suocera...
IL FORNO DELLA Cattarina A CAMPITELLO Il venerdì toccava alla Fermina che aveva una figlia sposata e due nipotine.
Il sabato invece veniva la moglie di Cesarone, anche lei aveva il marito e cinque figli però abitavano un po' più lontano da noi e così ormai si sono costruiti un forno sotto casa tutto per loro.
La Domenica invece il forno era a disposizione di tutti, su prenotazione con la Cattarina si portavano arrosti di pollo, arrosti di coniglio, e dolci, tanti dolci specialmente se c'erano dei giorni di festa come il 15 agosto, tutte le famiglie portavano al forno le loro teglie e la Cattarina doveva fare due cotture, prima i dolci, e poi gli arrosti e le lasagne, che così arrivavano in tavola belli caldi!
Solo la Cattarina sapeva regolarsi con la legna, con tanti anni di esperienza solo lei sapeva quante fascine mettere per scaldare il forno al punto giusto, tante se il forno era freddo dal giorno prima, ma pochissime se era già caldo per aver cotto i dolci la mattina, lei era un vero termostato vivente.
E quando la legna aveva smesso di ardere e rimaneva solo un po' di brace, la Cattarina raccoglieva i ramoscelli verdi di certi cespugli che si chiamano nebbi e con essi formava una scopa per pulire il pavimento del forno dalla cenere e spostare le braci sul fondo, e subito dopo cominciava a infornare le file di pane con una pala di legno lunghissima e poi richiudeva lo sportello di ferro.
PANE UMBRO FATTO IN CASA
Ma poi, quando lo sportello veniva aperto, si spargeva nell'aria un profumo pazzesco che anche ora mi fa venire l'acquolina in bocca... Era pane umbro, senza sale, diverso dalle ciriole e dalle fruste e dalle rosette che mangiavamo a Roma, ma com'era buono... A me, ne davano subito un pezzetto, il culetto della prima pagnotta, ancora bollente, ma croccante e profumato... Ancora lo ricordo come se fosse ieri...

Quindi riassumendo a Campitello non facevano in casa solo il pane, tutte le famiglie allevavano galline per avere le uova e oche, anatre e tacchini e conigli allevati per poter onorare i giorni di festa con succulenti arrosti...
E poi avevano tutte un maiale, allevato sia con le ghiande, che con sostanziose zuppe di patate e bietole e granturco, e che a fine anno, veniva trasformato in salsicce e salami e prosciutti e capicolli e lonze.... E infine tutte le famiglie avevano anche un piccolo branco di pecore per la lana che poi veniva filata e trasformata in maglioni ma soprattutto per fare un saporitissimo formaggio pecorino che si poteva mangiare fresco o grattugiare da stagionato sulle pastasciutte. Per questo andare in ferie a campitello per noi ragazzi era oltre che una liberazione, dopo mesi chiusi in casa a Roma per studiare, era un divertimento, e soprattutto un'esplosione di sapori nuovi e autentici. Perché ogni volta che andavamo a trovare dei parenti c'era sempre una zia che ti offriva una fetta di pane e salame o prosciutto, o uno zio Bastiano che approfittava per aprire un capicollo, o tirava fuori un vasetto di miele fatto da lui negli alveari che teneva nell'orto... A Roma si comprava tutto in negozio, a Campitello solo 80 anni fa si faceva tutto in casa, ed era tutto più buono, molto più buono!

SALUMI E FORMAGGI UMBRI  FATTI IN CASA




LE FAVOLE DI CAMPITELLO

LA TROMBA O LA CICCIRUMBELLA?
Quando ero piccolo io, non era tanto facile farsi raccontare una favola, anche perché le mamme e le nonne di una volta erano sempre molto indaffarate: dovevano pulire la casa, fare il bucato, fare il pane, fare la pasta, andare nell'orto a raccogliere le verdure per poi cucinare, e magari se avevano un po' di tempo libero, anche filare la lana, fare la maglia, tessere la tela, zappare l'orto e strappare le erbacce, seminare, allevare polli e conigli, ecc. ecc.


- "Nonna mi racconti una favola?"
- "Certo, quale vuoi, quella della Tromba o quella della Ciccirumbella?"
- "Quella della Ciccirumbella"
- " Va bene, però quella della Tromba è più bella e più longa...."
- "E allora raccontami quella della Tromba..."
- "Si, ma quella della Ciccirumbella è più longa e più bella..."
- "E allora raccontami quella della Ciccirumbella"
- " Va bene, ma quella della Tromba è più bella e più longa...."

E così via, fino a quando me ne scappavo disperato perché capivo che la nonna una favola non me l'avrebbe mai raccontata....



Chi è interessato alle favole di una volta raccontate a Campitello, le può trovare sul mio sito www.ilmiositoweb.it/poesiaeprosa/favole.htm