APPUNTI di CRISTIANO FANUCCI per IL GIORNALINO DELLE DONNE




Quando il pane si faceva in casa. (Racconto di Cristiano Fanucci)

Oggi che il CoronaVirus ha costretto tutti a casa, in molti hanno cominciato ad apprezzare la cucina casalinga, quella delle massaie di una volta, ed è successo che all'inizio nei supermercati era finito il lievito di birra e anche la farina cominciava a scarseggiare perché in molti avevano cominciato a fare dolci e anche a fare il pane fatto in casa.
Ma fare il pane in casa sembra facile... del resto lo sapevano fare anche gli antichi.... ma non è vero, fare del pane buono è difficilissimo!
I miei vicini di casa a Bologna avevano comprato una macchina per fare il pane, e poi tutti felici e orgogliosi, ci avevano offerto una pagnottona fatta da loro... ma non siamo nemmeno riusciti a finirla e dopo poche ore era già un mattone!..
FILE DI PANE PORTATE AL FORNO DELLA Cattarina Il pane fatto in casa da mia zia Lucia 70 anni fa era tutto un'altra cosa!
Quando ero un ragazzino, 70 anni fa, d'estate andavamo in ferie a Campitello un piccolo paesino in comune di Scheggia e Pascelupo, dove era nato mio padre e dove avevamo una casetta nella frazioncina chiamata "Case Alte".
Proprio davanti alla nostra casa c'era il forno della Cattarina.
Ogni giorno una delle sei famiglie che abitavano alle Case Alte veniva al forno per cuocere il pane.
E quindi ogni giorno, verso le nove, arrivava una donna con in testa una lunga tavola dove erano allineate le pagnotte da cuocere, ricoperte da un telo bianco; ogni famiglia sapeva già quante file di pane erano necessarie per tutta la settimana, di solito si andava da un minimo di 7 a un massimo di 14 per le famiglie più numerose.
Il lunedì veniva la Viola con in testa una tavola piena di file di pane da cuocere, lei aveva il marito e 6 figli e quindi il pane da cuocere era tanto, tanto, tanto.
Il martedì faceva il pane la Cattarina solo per lei, il marito Checcarino e il figlio Angelo.
Il mercoledì faceva il pane mia zia Lucia e anche lei aveva il marito e quattro figli e poi ce ne dava un po' anche a noi...
Poi il giovedì veniva La Rosa, lei aveva il marito e tre figli e anche la suocera...
IL FORNO DELLA Cattarina A CAMPITELLO Il venerdì toccava alla Fermina che aveva una figlia sposata e due nipotine.
Il sabato invece veniva la moglie di Cesarone, anche lei aveva il marito e cinque figli però abitavano un po' più lontano da noi e così ormai si sono costruiti un forno sotto casa tutto per loro.
La Domenica invece il forno era a disposizione di tutti, su prenotazione con la Cattarina si portavano arrosti di pollo, arrosti di coniglio, e dolci, tanti dolci specialmente se c'erano dei giorni di festa come il 15 agosto, tutte le famiglie portavano al forno le loro teglie e la Cattarina doveva fare due cotture, prima i dolci, e poi gli arrosti e le lasagne, che così arrivavano in tavola belli caldi!
Solo la Cattarina sapeva regolarsi con la legna, con tanti anni di esperienza solo lei sapeva quante fascine mettere per scaldare il forno al punto giusto, tante se il forno era freddo dal giorno prima, ma pochissime se era già caldo per aver cotto i dolci la mattina, lei era un vero termostato vivente.
E quando la legna aveva smesso di ardere e rimaneva solo un po' di brace, la Cattarina raccoglieva i ramoscelli verdi di certi cespugli che chiamano nebbi e con essi formava una scopa per pulire il pavimento del forno dalla cenere e spostare le braci sul fondo, e subito dopo cominciava a infornare le file di pane con una pala di legno lunghissima e poi richiudeva lo sportello di ferro.
PANE UMBRO FATTO IN CASA
Ma poi, quando lo sportello veniva aperto, si spargeva nell'aria un profumo pazzesco che anche ora mi fa venire l'acquolina in bocca... Era pane umbro, senza sale, diverso dalle ciriole e dalle fruste e dalle rosette che mangiavamo a Roma, ma com'era buono... A me, ne davano subito un pezzetto, il culetto della prima pagnotta, ancora bollente, ma croccante e profumato... Ancora lo ricordo come se fosse ieri...



Una casa nel bosco a cura di Ida e Gabriella

Gli edifici che compongono il Sodalizio di San Martino a Perugia sono inseriti in un contesto ricco di alberi e di vegetazione spontanea. Per molti le erbe sono solo verdi, di varie tipologie di verde e di forme diverse, Ida invece le chiama per nome e le ama insieme ai fiori.
Lei sa bene quali caratteristiche hanno e quali proprietà terapeutiche posseggono.

SALVIA C'è la SALVIA
a cui gli antichi attribuivano molte virtù curative. Grazie all'azione antinfiammatoria e antibatterica di cui è dotata, la salvia ha ottenuto l'approvazione ufficiale per essere impiegata nel trattamento delle infiammazioni della mucosa orale e della mucosa faringea.



ROSMARINO C'è il ROSMARINO
che è un'erba sempreverde profumata originaria del Mediterraneo. è usato solitamente come condimento culinario, e per creare profumi per il corpo ma è un antibatterico, antidiabetico, antitrombotico e antinfiammatorio. In particolare quest'ultima sua proprietà permette di lenire il dolore, anche quello derivato dal mal di testa. Lo avreste mai detto?






ROMA, C'ERA UNA VOLTA... (Racconto di Cristiano Fanucci)

Come cambiano le cose... Di solito si pensa che oggi tutto vada meglio di ieri, c'è il progresso, i computer, tutti hanno l'automobile, la povertà e la fame saranno presto sconfitte, viva il progresso!
CAMION NETTEZZA URBANA A ROMA Ma io comincio ad avere dei dubbi, a Roma ai miei tempi non c'era tanta immondizia nelle strade come oggi, sarà stata la povertà, ma per strada non c'erano nemmeno le cicche, io stesso ho visto a Piazza Venezia al capolinea del 91 i vecchietti che raccattavano le cicche, buttate per terra da chi saliva in autobus, per farsene una nuova sigaretta, e invece sotto casa passavano quasi tutti i giorni gli stracciaroli, nessuno avrebbe buttato via nemmeno uno straccio fuori da un cassonetto...
Anche perché i cassonetti ai miei tempi non esistevano... e quindi nessuno avrebbe potuto gettare buste di plastica fuori del cassonetto, sia perché la plastica ancora non esisteva, sia perché gli spazzini venivano a ritirare la spazzatura, salendo fino al quinto piano per svuotare il nostro secchio della spazzatura nel loro sacco, che poi scendevano e scaricavano in un vecchio camion, un DODGE residuato bellico, che l'avrebbe portata alla discarica della nettezza urbana.
Naturalmente ai miei tempi non c'era tanta spazzatura come oggi, non si usavano tanti imballaggi eleganti ma inutili, anzi quasi tutto veniva venduto sfuso, dalla pasta allo zucchero, e anche le bottiglie dovevano essere rese (vuoto a rendere) inoltre i vestiti non si gettavano via, sia perché i vestitini e le scarpine dei bimbi dopo pochi anni venivano passati a un fratellino che nel frattempo era cresciuto, sia perché passavano spesso gli stracciaroli che acquistavano tutto, dagli stracci alla lana e al ferro vecchio e in campagna, a Campitello, acquistavano anche le pelli dei conigli e le piume delle oche, e magari in cambio davano qualche piatto o un giocattolo o un fischietto.

SCUOLA CESARE BATTISTI A ROMA Quando ero piccolo, a Roma, abitavo alla Garbatella e andavo a piedi a scuola, la mia scuola era la "Cesare Battisti", resa celebre dalla fiction dei "Cesaroni", era vicina a casa nostra, ma nemmeno una volta la mamma mi ha mai detto: "Cristianino stai attento ad attraversare, attento alle macchine..." Perché ai miei tempi nemmeno a Roma c'erano le macchine!
E se nei film con Totò e Fabrizi ne vedete qualcuna, sicuramente era una comparsa, non un'auto vera di passaggio, perché di auto allora ne passavano davvero poche... Infatti sotto casa nostra e nelle vie adiacenti non ce n'era parcheggiata nemmeno una... e l'unica auto che conoscevo bene era la giardinetta del mio maestro, che veniva tutti i giorni da Frascati dove abitava, e già che c'era, come secondo lavoro si arrabattava portando a Roma qualche damigiana di vino buono da vendere ad amici e conoscenti.
Un'altra auto che conoscevo bene era una Lancia Appia nera che arrivava tutti i giorni e parcheggiava verso le due in via Macinghi Strozzi ed era guidata da un autista del Ministero in divisa, e anche se era nera, era un'auto blu di quell'epoca, l'auto di qualche deputato o senatore.
PALAZZONI DEI SENATORI IN VIALE CRISTOFORO COLOMBO
E a proposito di deputati, in via Cristoforo Colombo a un paio di Km. da casa nostra cominciarono a costruire due enormi palazzoni, tutti uguali e bruttini, erano i palazzi di una' cooperativa di deputati e di senatori, erano in una brutta posizione, alla periferia di Roma, vicino a Tormarancia, e oggi sono sottoposti a tutto il traffico e ai rumori dello stradone a 6 corsie che porta all'EUR e al mare di Ostia; in questi ultimi anni gli alloggi sono stati quasi tutti venduti e abbandonati dagli Onorevoli proprietari e sicuramente gli Onorevoli di oggi non andrebbero mai ad abitare in anonimi condomini di periferia, con tante ville sull'Appia Antica molto più consone alle loro esigenze e ai loro lauti stipendi...


Davanti alla mia scuola c'erano due vecchiette che con la loro bancarella vendevano a noi ragazzini caramelle e liquirizie, lacci, pescetti (che costavano una lira), e caccolette (che costavano mezza lira) e anche bustine di castagnaccio da due lire. La prima volta che ne comprai una, non sapevo bene cosa fosse, vedevo i miei amici comprarne qualcuna, e così anche io per curiosità ne comprai una e l'aprii e me la versai in bocca, ma respirando aspirai un po' di polvere di castagne nei polmoni e cominciai a tossire come un dannato, per poco rigettavo... Io non ne ho più comprate, lasciate perdere la farina di castagne in bustine, meglio usarla per farci il castagnaccio, un vero dolce rustico con uvetta e pinoli. Se volete la ricetta completa, la troverete sul mio sito di cucina: www.ilmiositoweb.it/cucinaregionale.
SUPERCREMA E NUTELLA FERRERO Quella volta per andare a scuola non esistevano ancora le merendine incellofanate, la mattina passavamo dal fornaio e ci facevamo dare una ciriola farcita di mortadella profumata, era una merendina più rustica ma forse più sana e nutriente di quelle di oggi.
Ma per il pomeriggio? per molti anni la scelta era solo tra pane olio e sale o tra pane acqua e zucchero... Poi la Ferrero, ditta allora nota per fare succedanei, inventò la Supercrema al cioccolato, quella che poi sfondò con il nome di Nutella, era buonissima... E allora la mamma ne comprò una pentola di alluminio piena, era una confezione speciale per i negozi, (che poi come al solito la vendevano sfusa incartata nella solita carta oleata) e noi ne consumavamo a bizzeffe, ma d'estate a Campitello, facevamo a cambio di merende con i nostri amici che invece mangiavano sempre pane e prosciutto o pane e formaggio fatti in casa!

INSEGNA MOTTA A PIAZZA NAVIGATORI E a proposito di dolci, ai miei tempi per Natale non si mangiava il panettone, anzi io non avevo mai visto un panettone, nemmeno nella pasticceria che avevamo sotto casa. Nessuno a Roma aveva mai sentito nemmeno parlare di panettoni, un dolce conosciuto da anni, ma solo in Lombardia, e forse solo nel Milanese. E infatti la Motta cominciò a pubblicizzarli proprio in quegli anni, costruendo un'insegna enorme alta forse una decina di metri sopra i palazzoni di Piazza dei Navigatori, visibile quasi da tutta Roma, specialmente di notte quando era illuminata da potenti luci al neon. Insegna che vedevamo bene anche noi da casa nostra, e ci domandavamo cosa fosse, e così per soddisfare la nostra curiosità la mamma, quando avevo una decina d'anni, ci comprò un panettone, sì era buono, ma noi continuammo sempre a chiederle di farci per Natale la pastasciutta dolce all'Alkermes con il miele e le noci e il cioccolato, il dolce tradizionale che si fa in Umbria anche oggi proprio nel periodo Natalizio.

CODA ALLA VACCINARA PIATTO ROMANESCO Certo che i piatti tradizionali umbri sono diversi da quelli romani, ma sono altrettanto buoni... Quindi se a Roma gli appassionati di cucina romanesca possono gustare i rigatoni con la Pajata, a Perugia nelle occasioni importanti si offrono le pappardelle col sugo dell'oca... Se a Roma nelle trattorie si trova la coda alla vaccinara, in Umbria è famosa la coratella d'agnello, che oggi va di moda anche come raffinato antipastino nei pranzi da sposa. Comunque non è questo il momento per fare gare di cucina regionale, chi cerca ricette di cucina regionale, ne può trovare tantissime nel mio sito di cucina regionale, ma ciascuno di noi ha i suoi ricordi dell'infanzia, e tra questi ricordi spesso hanno il sopravvento i profumi e i sapori dei piatti della mamma.


ANATRA IN PORCHETTA Ma io ricordo ancora con nostalgia il profumo dei maccheroni fatti in casa con il sugo dell'oca e il sapore intenso dello spezzatino di pecora al sugo, e quello dell'anatra in porchetta con il profumo del finocchio selvatico, o quello del pollo in fricò o dell'oca arrosto, piatti rustici ma sostanziosi e saporiti che si mangiavano a Campitello nel giorno della battitura, sdraiati sull'aia, all'ombra di un noce, con bianche tovaglie lunghissime stese sull'erba, pranzando insieme a tutti i battitori, ai contadini e ai macchinisti della macchina da battere, con un bel fiasco di vino roscioletto di Gubbio, quello asprigno che oggi non si trova più... e il profumo del grano appena battuto e della pula e della paglia ancora da radunare... Ma forse è solo nostalgia della nostra giovinezza... perché tutti i miei amici sono convinti che le cose di una volta erano davvero più saporite e buone e profumate...


Trebbiatura a Campitello La trebbiatura del grano a Campitello era veramente una festa. Per tutti i contadini la battitura era il frutto di un'intera annata di lavoro: arare, sarchiare, seminare, mietere, radunare il grano e infine in agosto trebbiare, erano queste le fatiche di tutti i Campitellesi nell’arco di un' intera annata.
E la soddisfazione era dipinta sul volto di tutti i nostri parenti il giorno della battitura, e quindi una bella mangiata e una bevuta con tutti gli amici che erano "venuti a opra" e cioè avevano aiutato a battere il grano sull'aia, era obbligatoria per coronare la festa.
E poi alla fine della festa tutti si congratulavano con le donne di casa che avevano dato il meglio di se stesse in cucina per preparare i migliori piatti tradizionali, per fare bella figura con i loro mariti e con tutti i battitori.